Patto di non concorrenza nel rapporto di lavoro

Patto di non concorrenza

Si definisce patto di non concorrenza (wiki) l’accordo scritto tra datore di lavoro e lavoratore con cui le parti convengono di prolungare, per il periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro, gli obblighi di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c. imposti al lavoratore nel corso dello svolgimento del rapporto stesso.

Requisiti

La legge (art. 2125 c.c.) prevede per il patto di non concorrenza, pena la sua nullità, i seguenti elementi costitutivi:

– forma scritta;

– definizione dell’oggetto;

– durata predefinita;

– individuazione di un ambito territoriale di operatività;

– determinazione di un corrispettivo.

Forma scritta

Il patto deve risultare per atto scritto, a pena di nullità.

Non è invece necessario che il patto sia contenuto nel contratto di lavoro. Poiché il patto di non concorrenza è qualificato come un “normale” contratto a prestazioni corrispettive dotato di una causa autonoma rispetto a quella del contratto di lavoro, esso può essere oggetto di una pattuizione separata dal contratto di lavoro.

CASO 1 – Condizioni generali di contratto
È valido il patto limitativo della concorrenza che sia sottoscritto con documento separato, senza l’apposizione di una seconda sottoscrizione ai sensi dell’art. 1341 c.c., richiedendo la norma anzidetta una sottoscrizione specifica per gli accordi recanti «… restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi …» solo nel caso di patto inserito in un complesso di condizioni contrattuali (Trib. Milano 27 settembre 2005).Ai fini della validità del patto di non concorrenza, non è necessaria la specifica approvazione per iscritto ex art. 1341, c. 2, c.c. se si tratta di pattuizione individuale conclusa senza l’utilizzazione di moduli o formulari (Trib. Milano 22 ottobre 2003).

Definizione dell’oggetto

Definire l’oggetto del patto significa indicare con sufficiente accuratezza quali attività non potranno essere svolte dall’ex dipendente.

La limitazione potrebbe riguardare non solo le mansioni svolte dal dipendente presso l’originario datore di lavoro, ma anche la diversa attività lavorativa che il dipendente potrebbe comunque esercitare in concorrenza con l’ex datore di lavoro.

CASO 2 – Nullità del patto di non concorrenza per estensione eccessiva dell’oggetto
Il patto di non concorrenza previsto dal 2125 c.c. può riguardare qualsiasi attività lavorativa che possa competere con quella del datore di lavoro e non deve quindi limitarsi alle sole mansioni espletate dal lavoratore nel corso del rapporto. Esso è nullo quando per ampiezza è idoneo a comprimere l’esplicazione della concreta professionalità del lavoratore, limitandone ogni potenzialità reddituale (Cass. n. 13283/2003; n. 7835/2006).

La delimitazione dell’oggetto del patto di non concorrenza può essere determinata non già (o non solo) sulla base delle attività che l’ex dipendente è tenuto a non svolgere ma anche sulla base dei soggetti a favore dei quali l’ex dipendente non potrà svolgere una determinata attività lavorativa.

Sotto tale profilo, si deve tenere conto dell’effettiva potenzialità concorrenziale del nuovo datore di lavoro e della collocazione che il dipendente potrebbe assumere presso il nuovo datore di lavoro.

Durata predefinita

Il divieto di concorrenza deve essere circoscritto entro determinati limiti di tempo.

La durata del vincolo non può essere superiore a 5 anni, se si tratta di dirigenti, e a 3 anni negli altri casi. Se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura suindicata (art. 2125, c. 2, c.c.).

Ambito territoriale

Ai fini della valutazione della validità del patto di non concorrenza, l’elemento dell’oggetto è valutato anche in relazione all’ampiezza territoriale del divieto.

Un patto avente un oggetto piuttosto ampio potrebbe essere ritenuto legittimo purché contenuto entro uno spazio geografico ristretto.

La valutazione di congruità del patto di non concorrenza è frutto di un contemperamento fra le esigenze dell’azienda ed il diritto del dipendente di potere comunque esercitare un’attività lavorativa che gli consenta di produrre reddito.

Determinazione di un corrispettivo

Il corrispettivo deve essere congruo rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore, a pena di nullità del patto stesso.

Ai fini di un giudizio concreto sulla congruità, si devono tenere presenti la misura della retribuzione, l’estensione territoriale ed oggettiva del divieto e la professionalità del dipendente. Pertanto, è nullo il patto di non concorrenza in presenza di una oggettiva estrema modestia del corrispettivo e di una oggettiva estrema estensione del sacrificio della professionalità con consequenziali margini estremamente ridotti di possibilità di lavoro.

Quanto alle modalità di corresponsione del corrispettivo, il datore di lavoro ha generalmente la scelta tra le seguenti opzioni:

– corresponsione del compenso in costanza del rapporto di lavoro;

– liquidazione dell’importo successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro.

Diritto di recesso e diritto di opzione

La Cassazione ha affermato che non sono legittime le clausole apposte ai patti di non concorrenza che consentono al datore di lavoro di liberare il dipendente dal patto al momento della risoluzione del rapporto, sulla base di una diversa valutazione dei presupposti che ne avevano determinato l’iniziale stipulazione, se questo deriva da una valutazione discrezionale del datore.

La giurisprudenza ritiene tali clausole illegittime se prevedono la possibilità del recesso unilaterale del datore di lavoro al momento della cessazione del rapporto di lavoro o durante il periodo successivo, ad esempio durante il preavviso.

La previsione della risoluzione del patto di non concorrenza rimessa all’arbitrio del datore di lavoro concreta una clausola nulla per contrasto con norme imperative. Infatti, la limitazione allo svolgimento dell’attività lavorativa deve essere contenuta – in base a quanto previsto dall’art. 1255 c.c., interpretato alla luce degli artt. 4 e 35 Cost. – entro limiti determinati di oggetto, tempo e luogo e compensata da un corrispettivo di natura altamente retributiva, con la conseguenza che è impossibile attribuire al datore di lavoro un potere unilaterale di incidere sulla durata temporale del vincolo o di caducare l’attribuzione patrimoniale pattuita (Cass. n. 9491/2003 e n. 15952/2004).

Diversa è l’ipotesi in cui invece del diritto di recesso dal patto di non concorrenza viene previsto, a favore del datore di lavoro, un diritto di opzione (art. 1331 c.c.) da esercitarsi entro un termine definito dopo la cessazione del rapporto di lavoro.

L’opzione determina la nascita di un diritto a favore dell’opzionario che conclude automaticamente il contratto, soltanto nel caso in cui il diritto viene esercitato. Si tratta, quindi, di un diritto potestativo, poiché ad esso corrisponde, dal lato passivo, una posizione di soggezione, dato che, ad esclusiva iniziativa dell’opzionario, il concedente può subire la conclusione del contratto finale. Rilevante, in questo caso è lo schema di perfezionamento che, nell’esercizio di un diritto di opzione non è quello della proposta-accettazione, ma quello del contratto preparatorio di opzione, seguito dall’esercizio del suddetto diritto, mediante una dichiarazione unilaterale recettizia entro un termine fissato nel contratto. Scaduto tale termine, l’opzione viene meno, trattandosi di un termine di efficacia di un contratto e non di irrevocabilità della proposta, liberando il lavoratore dal patto di non concorrenza (Cass. n. 25462/2017).

CASO 3 – Nullità della clausola sulla facoltà di recesso dal patto di non concorrenza
È nulla la clausola che prevede che il datore di lavoro possa recedere dal patto di non concorrenza; una tale clausola, infatti, non permette al lavoratore di valutare l’esistenza dei vincoli dalla ricerca di un’altra opportunità lavorativa alla cessazione del rapporto di lavoro (Cass. n.15952/2004).
CASO 4 – Clausola sul diritto di opzione illegittima
È illegittima la clausola di opzione, accedente al patto di non concorrenza, che il lavoratore attribuisce al datore di lavoro a fronte di un corrispettivo per la formazione professionale ricevuta, in quanto tale formazione costituisce già la causa del contratto di lavoro subordinato stipulato, sicché quella clausola determina un’illecita sperequazione della posizione delle parti nell’ambito dell’assetto negoziale e la violazione della natura contrattuale dell’opzione (Cass. n. 8715/2017).
CASO 5 – Clausola sul diritto di opzione legittima
Quando il patto di non concorrenza assolve ad una finalità di salvaguardia del know-how acquisito dal lavoratore, a fronte degli investimenti di carattere formativo organizzati dalla società a favore del proprio personale stabile, è legittimo il diritto di opzione di avvalersi del patto di non concorrenza alla cessazione del rapporto di lavoro.Per le seguenti ragioni:- l’opzione viene concessa dal dipendente a fronte della formazione professionale allo stesso erogata;- il patto di non concorrenza contiene una clausola che prevede, ai fini del suo perfezionamento, l’esercizio da parte della società della facoltà di opzione (ex art. 1331 c.c.) entro 30 giorni lavorativi dalla cessazione del rapporto;- tale formulazione risponde all’esigenza di riservarsi al momento della cessazione del rapporto di lavoro, la concreta valutazione delle potenzialità dannose del dipendente in termini di concorrenza;- se il datore di lavoro non esercita il diritto di opzione alla cessazione del rapporto di lavoro libera il dipendente dal patto (Cass. n. 25462/2017).

Pagamento del corrispettivo

È controverso se sia ammissibile il pagamento del corrispettivo del patto di non concorrenza in costanza di rapporto.

Deve comunque ritenersi ammissibile il corrispettivo, predeterminato nel proprio importo e da considerarsi congruo rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore, che venga liquidato in rate periodiche nel corso del rapporto di lavoro, con la previsione che, in caso di cessazione del rapporto prima che siano versate tutte le rate, la porzione di corrispettivo non ancora liquidata venga corrisposta in un’unica soluzione al lavoratore.

Il pagamento del corrispettivo al momento della cessazione del rapporto di lavoro è la regola anche se spesso, nella prassi, il pagamento è dilazionato almeno in parte al termine del periodo di non concorrenza.

Trattamento contributivo e fiscale

Il trattamento contributivo e fiscale del corrispettivo del patto di non concorrenza è legato alle modalità di pagamento.

Il corrispettivo versato in costanza di rapporto, infatti, costituisce retribuzione imponibile a tutti gli effetti, fiscali e contributivi ed è computabile nel trattamento di fine rapporto.

Diversamente da quanto accade in caso di pagamento in corso di rapporto, qualora il corrispettivo sia corrisposto al termine della cessazione del rapporto di lavoro, lo stesso è soggetto soltanto a tassazione separata e non anche a contribuzione.

Tabelle ANF 2019 2020: i nuovi importi degli assegni familiari
Lavorare sino al nono mese: occorre la certificazione medica
Indennità di Maternità come si calcola

(Visited 251 times, 1 visits today)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *