Un figlio può salvarti il patrimonio

Un figlio può salvarti il patrimonio

È risaputo che i figli sono un bene prezioso, ma non tutti sanno che possono addirittura salvare il patrimonio familiare se uno dei genitori dovesse fallire. Cinismo? Assolutamente no: solo e soltanto verità. Un’inaspettata sentenza di primo grado si è recentemente pronunciato sull’illegittimità di un fondo patrimoniale costituito ante-insolvenza poiché impiegato per sottrarre beni che altrimenti sarebbero stati direttamente ricompresi nell’attivo fallimentare.

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Il giudice di merito muove però il proprio convincimento da motivazione ben lontane da quelle oramai consolidate: per il combinato disposto degli artt. 171 e 191 C.C., il fondo patrimoniale si scioglie a causa del fallimento e si trasforma in comproprietà quando non ci sono figli minori. In tal caso, quindi, la quota di proprietà del fallito confluisce senza alcuna distinzione nei beni di pertinenza della procedura fallimentare.
È opportuno quindi interrogarsi se la presenza di figli avrebbe permesso di “eludere” la revoca dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale.
Secondo un oramai consolidato orientamento della giurisprudenza di merito e di legittimità, “la costituzione del fondo patrimoniale per fronteggiare i bisogni della famiglia, anche qualora effettuata da entrambi i coniugi, non integra, di per sé, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un’attribuzione in favore dei disponenti, suscettibile, pertanto, di revocatoria, a norma dell’art. 64 L.F., salvo che si dimostri l’esistenza, in concreto, di una situazione tale da integrare, nella sua oggettività, gli estremi del dovere morale ed il proposito del solvens di adempiere unicamente a quel dovere mediante l’atto in questione” (Cass. Civ. 29298/2017). Ciò in virtù del fatto che l’atto di costituzione del fondo patrimoniale altro non è che un atto a titolo gratuito, non richiesto dalla legge, ma solo da questa disciplinato. La gratuità dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale rende l’istituto di segregazione del patrimonio più come una convenzione istitutiva di un nuovo regime giuridico che un vero e proprio atto per il quale viene a prodursi un trasferimento di proprietà. Infatti, il vincolo creato non determina un trasferimento dei beni di proprietà dei coniugi, che rimangono pur sempre titolari dei beni stessi e ne mantengono piena disponibilità.

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L’immutata proprietà dei beni, quale caratteristica fondamentale del negozio in questione, è idonea a ledere così i principi dei creditori: per frenare un uso distorto di questo strumento giuridico, ai creditori è rimessa la possibilità di esperire l’azione revocatoria fallimentare, nel caso in cui anche uno solo dei coniugi venga dichiarato fallito. Sebbene però la legge preveda espressamente l’esclusione nel fallimento dei “beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi” (art. 46, c. 3 L.F.), il legislatore ha stabilito che tale norma opera nei limiti del disposto di cui all’art. 170 C.C. Il richiamo all’art. 170 C.C. contenuto nell’art. 46 L.F. fa sì che i soggetti autorizzati ad aggredire i beni del fondo per la soddisfazione del proprio credito rientrano nella massa dei creditori del fallito e sono, pertanto, legittimati a richiedere l’ammissione al passivo fallimentare.
Una corretta interpretazione dell’appena citato art. 170 C.C. conferma dunque la legittimazione del curatore ad apprendere i beni costituiti in fondo, salvo l’obbligo del curatore di soddisfare prima i creditori di scopo e solamente dopo acquisire il corrispettivo della cessione o il residuo attivo della liquidazione nell’attivo fallimentare, al netto dei debiti del patrimonio.
La costituzione avvenuta nel cosiddetto “periodo sospetto” comporterebbe una ovvia volontà del curatore di intraprendere l’azione revocatoria, soprattutto qualora i figli siano tutti adulti e titolari di proprie attività imprenditoriali, così come affermato anche dalla Corte di Cassazione, con la sentenza 6.02.2018, n. 2820. Se però, la costituzione del fondo cade lontano dal periodo di insolvenza, in presenza di figli minori o comunque maggiorenni, ma privi di capacità economica, tale situazione integra, di per sé, un interesse meritevole di tutela. In caso di futuro fallimento, la presenza di figli non scongiura a priori le azioni revocatorie, ma rende più improbabile un risultato, quello della dichiarazione di inefficacia, che pare essere oramai certo e conclamato.

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