Sospensione del lavoratore che rifiuta il vaccino – Con l’ordinanza del 28 luglio 2021, il Tribunale Sez. Lavoro di Roma ha dichiarato la legittimità della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione disposta dal datore nei confronti di un dipendente che si era rifiutato di vaccinarsi.

È da evidenziare la particolarità del caso, in quanto la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, oggetto della verifica giudiziale, è stata disposta dal datore di lavoro nei confronti di personale per il quale non è stato introdotto dal legislatore l’obbligo di vaccinazione gratuita anti COVID-19 (obbligo previsto, invece, per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali, così come previsto dall’art. 4 del DL 44/2021, conv. L. 76/2021) e, comunque, a seguito del giudizio di idoneità con limitazione emesso dal medico aziendale, in considerazione proprio del rifiuto del lavoratore a sottoporsi alla vaccinazione anti COVID-19, giudizio medico che non è stato oggetto di impugnazione da parte del lavoratore.

Come evidenziato nell’ordinanza che si commenta, si è in presenza di una comunicazione aziendale che “non costituisce un provvedimento disciplinare per il rifiuto di sottoporsi a vaccinazione, bensì di un doveroso provvedimento di sospensione adottato stante la parziale idoneità alle mansioni della lavoratrice”; e infatti, ai sensi dell’art. 42 del DLgs. 81/2008, il datore di lavoro deve attuare “le misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti”, eventualmente anche inferiori.
Del resto, nel caso in esame, la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione non poteva essere evitata in quanto “non risultano posizioni lavorative confacenti alla professionalità della ricorrente … e quindi la possibilità di reimpiegare diversamente la ricorrente”. In base all’art. 41 Cost., il datore di lavoro non è tenuto a modificare la propria organizzazione produttiva al fine di impiegare il personale in forza.

In sostanza, il Giudice di Roma ha dato applicazione ai principi in materia, secondo cui, in caso di accertata inidoneità temporanea alle mansioni, se le prestazioni lavorative sono vietate dalle prescrizioni del medico competente, è legittimo il rifiuto del datore di lavoro di riceverle.

In tal caso, stante la temporaneità dell’impedimento e l’impossibilità di diversa proficua utilizzazione del lavoratore all’interno dell’organizzazione produttiva esistente, il datore di lavoro può, legittimamente, disporre la sospensione dal lavoro, in quanto ciò risponde a esigenze di tutela del lavoratore e, al contempo, di necessario rispetto degli obblighi in materia di salute e sicurezza sul lavoro previsti dall’art. 2087 c.c. e dal DLgs. 81/2008.

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Impossibile una diversa proficua utilizzazione del lavoratore

La violazione della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro espone del resto il datore di lavoro, oltre a responsabilità penale e amministrativa, anche a quella civile, di natura risarcitoria, nei confronti dei dipendenti e anche dei terzi.

In presenza di una sospensione legittimamente disposta, il lavoratore non ha diritto alla retribuzione, non essendo svolta alcuna prestazione lavorativa (ex artt. 2094 e 2099 c.c.) e non essendo la stessa prestazione – anche se offerta tramite formale messa in mora da parte del lavoratore – ricevibile dal datore di lavoro.

Il punto controverso in giurisprudenza è, invece, nei casi in cui, a fronte della disposta sospensione, il giudizio medico sia contestato dal lavoratore, le prestazioni lavorative siano da questi regolarmente offerte (e il datore di lavoro rifiuti di riceverle) e successivamente il giudizio medico sia ribaltato.

In definitiva, il Giudice del lavoro di Roma è giunto alla conclusione sopra riportata attraverso la valorizzazione del contemperamento dell’interesse collettivo della salute con la scelta individuale del lavoratore in materia sanitaria, per come riconosciuta dall’art. 32 Cost.

E infatti, l’art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro l’obbligo di sicurezza (“L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”); inoltre, l’art. 20 del DLgs. 81/2008 obbliga il lavoratore a “prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”.