Mini-lockdown per le aziende – Cosa si devono aspettare le imprese?

Mini-lockdown per le aziende, test sierologici non idonei per il lavoro

Si potrà disporre, in caso di aumento dei contagi, la chiusura di singole strutture, comprese le aziende. Intanto il ministero della Salute chiarisce: test sierologici non utilizzabili per idoneità al lavoro.

Mini-lockdown per le aziende – Con la Fase due dal 4 maggio torneranno a lavoro oltre 4 milioni di persone. Riapriranno tutte le aziende della manifattura, quelle delle costruzioni e alcune dei servizi e del commercio all’ingrosso legate alle filiere che riapriranno. Esperti e virologi concordano sul fatto che c’è da prevedere una risalita dei contagi, si spera limitata. Per questo partirà un serrato monitoraggio dei dati per decidere se intervenire con nuove «misure restrittive». Si tratterà non di chiusure generali, ma piuttosto di zone rosse locali e mini-lockdown chirurgici.

Cosa si devono aspettare le imprese?
Nel caso dovessero risalire i contagi e la diffusione del virus fosse circoscritta a una determinata area o struttura, l’idea è di intervenire con chiusure su misura: «Laddove abbiamo evidenze che in un ambiente ristretto c’è un numero di casi significativo allora il lockdown chirurgico è raccomandabile ed efficace», ha spiegato il presidente dell’istituto superiore di Sanità Silvio Brusaferro. Che non esclude che oltre ad aree geografiche limitate – a esempio un Comune (attualmente sono 74 quelli considerati zone rosse) – possa riguardare singole realtà: come una «Residenza sanitaria per anziani, ma anche un altro tipo di struttura come un’azienda», ha aggiunto Brusaferro. A decidere le misure restrittive sarà il ministero della Salute su proposta dei governatori in caso appunto di «aggravamento del rischio sanitario» che sarà valutato in base al monitoraggio settimanale fatto sul set di indicatori contenuti nel decreto ministeriale appena pubblicato.

Il ricorso ai test sierologici

Nei prossimi giorni partirà la prima indagine a livello nazionale per capire quanto si è diffuso il virus in Italia. Saranno effettuati i test sierologici su 150mila italiani (in 2mila Comuni) per sei fasce di età e vari settori produttivi: in pratica un campione rappresentativo del Paese. L’obiettivo è cercare chi ha sviluppato gli anticorpi attraverso un prelievo del sangue e capire così chi è stato contagiato e quindi avere una idea di quanta parte della popolazione italiana sia venuta a contatto con il virus. Questi test però secondo gli esperti non possono essere considerati delle patenti di immunità perché se possono segnalare chi è stato contagiato non dicono però se si è guariti dal Covid. Funzione che al momento è riservata solo ai tamponi. Ecco perché nonostante l’intenzione di impiegarli in maniera massiccia – sono diverse le Regioni che hanno acquistato decine di migliaia di test – non c’è il via libera, almeno per ora, a utilizzarli come uno strumento per capire chi è idoneo al lavoro. «Al momento non sono utilizzabili. Ad oggi non abbiamo certezza che gli anticorpi siano protettivi», ha spiegato Sergio Iavicoli dell’Inail. Che cita anche una circolare del ministero della Salute del 29 aprile che fornisce delle indicazioni per i medici competenti negli ambienti di lavoro.

Per la circolare i test non validi per l’idoneità lavorativa
Il documento inviato anche alle associazioni imprenditoriali ricorda come il medico competente che opera nelle imprese e negli ambienti di lavoro – in Italia se ne contano quasi 7500 – possa suggerire l’adozione di eventuali mezzi diagnostici. E sottolinea come i test sierologici non possono sostituire il tampone, anche se possono fornire dati epidemiologici sulla circolazione del virus «nella popolazione anche lavorativa». In particolare circa l’utilizzo dei test «nell’ambito della sorveglianza sanitaria per l’espressione del giudizio di idoneità, allo stato attuale, quelli disponibili – avverte la circolare – non sono caratterizzati da una sufficiente validità per tale finalità». E dunque «non emergono indicazioni al loro utilizzo per finalità sia diagnostiche che prognostiche nei contesti occupazionali, né tantomeno – conclude il documento – per determinare l’idoneità del singolo lavoratore».

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