La tassazione di app e giochi freemium

LA TASSAZIONE DI APP E GIOCHI FREEMIUM

Come vengono intercettati in Italia i (notevoli) proventi derivanti dai videogiochi (in particolare on line), compresi quelli relativi alla creazione dei software e delle app? In questo settore, peraltro, gli incrementi maggiori sono stati osservati proprio in aziende come Apple e Google, con aumenti di fatturato del 28% e del 30% rispetto allo scorso anno, principalmente dovuti al boom dei giochi sulle piattaforme mobile.

E un ruolo fondamentale, in questo mercato, è rappresentato dalle cosiddette Riot Games.
Ma cosa sono le Riot Games?
Riot Games nasce nel 2006 a Los Angeles come un’azienda indipendente produttrice e editrice di giochi online Freemium.

Nel Maggio 2010, viene aperta la seconda sede della Riot, con base a Dublino (guarda caso, sempre l’Irlanda).
L’idea di profitto è quella delle micro-transazioni (ovvero, dopo aver consentito di scaricare on line il gioco gratis, rilasciare contenuti a pagamento in modo continuo e a prezzo basso).

Nel 2011 la Tencent Holdings Limited (società cinese) acquista la maggioranza delle azioni di Riot games con un investimento di $231.000.000.

La Riot Games inc. è dunque oggi una azienda sussidiaria/satellite della Tencent holding Limited, che ha una maggioranza del 93% delle azioni dell’azienda Californiana.

I giochi freemium – Come detto tale società si è specializzata sui giochi freemium. Giochi, cioè, che è possibile scaricare e avviare gratuitamente, ma che durante la partita offrono la possibilità di ottenere potenziamenti e bonus attraverso denaro reale, con la formula degli “acquisti in-app”.

Quindi, il software scelto è offerto in maniera gratuita dallo sviluppatore, ma alcune componenti del gioco o alcuni livelli possono essere sbloccati solo dopo aver pagato una somma direttamente dentro l’app (acquisti in-app).

Le app generano pertanto sempre più fatturato e il modello freemium rappresenta il traino della crescita del fatturato mobile app. E anche il fatturato generato dalle inserzioni pubblicitarie in-app è cresciuto del 70%.

Lo sviluppatore (e l’azienda che fa da tramite: Google, Apple, etc.) inizia quindi a guadagnare molto grazie alla schiera di giocatori “dipendenti”, pronti a spendere solo per vedere come finisce il gioco.

Lo sviluppatore pertanto fa soldi non nell’acquisto diretto dell’app, ma durante il suo svolgimento.

Percentualmente è stato dimostrato che questo modello garantisce fino al 270% di ricavi in più rispetto alla vendita “pura” di tutto il gioco e fino al 389% in più rispetto alle app “free con ads”, con i classici messaggi pubblicitari inseriti nel gioco.

E ora anche le grandi case produttrici di giochi per console e per PC intendono adottare il modello. Fra poco, quindi, avremo questo tipo di giochi anche su console o su PC: giochi venduti a 2-4 euro e con poi la richiesta di pagamento di una somma di denaro aggiuntiva per “non alzare troppo il livello di difficoltà” o per proseguire.

Il freemium è quindi un fenomeno che porta molti più soldi degli abbonamenti. Ci sono esempi di titoli che, proposti con abbonamenti mensili da una decina d’euro, avevano una risposta tiepida e fatturati ridotti. Una volta che il gioco è stato convertito a Freemium, gli stessi giocatori che non accettavano di pagare 10 euro al mese per un abbonamento, sono stati capaci di spenderne 400 in un giorno.

E a chi vanno tutti questi proventi? E chi e come ci paga le tasse?

Il fenomeno degli sviluppatori di applicazioni mobile per smartphone e ipad, siano esse per iPhone o per Android, non deve essere sottovalutato.

Una volta che un’applicazione viene sviluppata, per venderla, la si deve pubblicare sul negozio online della società relativa al sistema operativo mobile usato; se si fa un’app per Android, la si cercherà di vendere sull’Android Market di Google, se si sviluppa un’app per iPhone, la si pubblicherà sullo store online di Apple.

Pertanto, la prima cosa che deve fare uno sviluppatore di applicazioni mobile per poter vendere i suoi prodotti è siglare una sorta di contratto, chiamato Developer Program, proposto dalla società del negozio online dove si pubblicherà l’applicazione, quindi Google o Apple (o eventualmente qualche altra società se si sviluppano applicazioni per altri sistemi operativi mobile). Gli sviluppatori possono aderire a questo contratto online, registrandosi al Developer Program del negozio online dove si vuole operare, e riceveranno poi per email il testo completo di questo contratto.

Nel momento in cui un utente, che sia esso un privato o un’azienda, acquista un’applicazione di uno sviluppatore italiano sull’Apple Store o sull’Android Market, dell’importo speso dall’acquirente per l’acquisto dell’applicazione, la società di Apple e Google Inc. trattengono il 30% e versano allo sviluppatore il 70% del netto.

Lo sviluppatore riceve mensilmente un bonifico sul proprio conto corrente (magari all’estero), con il totale degli importi guadagnati con la vendita delle sue applicazioni in un mese.

Il guadagno mensile che lo sviluppatore ottiene con la vendita di applicazioni sull’Apple Store o sull’Android Market, la si può considerare, ai fini Iva, una prestazione di servizi specifici immateriali del tipo di commercio elettronico diretto.

Lo sviluppatore dovrà emettere quindi una fattura ai soli fini interni italiani in cui si specifichi “fuori campo IVA ex art 7-ter DPR 633/72″.
Dal momento che lo sviluppatore non paga Iva italiana, egli potrebbe inoltre conseguire anche un cronico credito Iva annuale, che potrebbe essere utilizzato per compensare altri versamenti di imposte o ritenute, o essere richiesto come rimborso per prevalenza di operazioni non soggette ad Iva per mancanza di presupposto di territorialità, o esser evitato con lettere di intento ai fornitori in quanto esportatori abituali.
Lo sviluppatore che vende sue applicazioni per Android sull’Android Market, poi, non deve neppure essere iscritto al VIES, in quanto la sua controparte è sempre Google Inc., una società americana.

Se uno sviluppatore vende invece applicazioni per iPhone, se le vende in un paese europeo, allora deve essere iscritto al VIES, è soggetto agli obblighi Intrastat.

Da un punto di vista imposte dirette, comunque, senz’altro perdiamo il 30% trattenuto dalle multinazionali Google e Apple e dubito molto che si riesca ad intercettare il 70% di competenza degli sviluppatori (che ricevono mensilmente un bonifico sul proprio conto corrente con il totale degli importi guadagnati con la vendita delle applicazioni in quel mese).

Se si calcola che non è raro trovare esempi di sviluppatori che con un giochino riescono a guadagnare centinaia di migliaia di euro, dato l’esplodere del fenomeno (anche amatoriale), il danno per l’Erario è molto rilevante

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