Martedì 19 maggio è stato finalmente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il tanto atteso decreto “Rilancio” (DL 34/2020), nell’ambito del quale sono state sostanzialmente confermate le disposizioni in tema di divieto di licenziamento nonché di rinnovo e proroga dei contratti a termine contenute nelle bozze circolate nei giorni scorsi.
Il contenuto definitivo della norma sui contratti a termine ed il ritardo con cui è avvenuta la pubblicazione del decreto aprono però due ulteriori questioni interpretative di cui non si sentiva la necessità e rispetto alle quali è auspicabile che almeno in occasione della prossima conversione in legge si faccia chiarezza.

Per quanto riguarda la proroga del divieto di licenziamento previsto dall’art. 46 del DL 18/2020, l’art. 80 del DL 34/2020 ha sostituito l’originario termine di 60 giorni, che scadeva il 15 maggio 2020, con un nuovo termine di cinque mesi, in conseguenza del quale fino al 16 agosto 2020 non si potrà procedere con licenziamenti collettivi e licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo. Se nelle intenzioni del legislatore questa sostituzione sarebbe dovuta avvenire senza soluzione di continuità, in quanto era prevista un’entrata in vigore del decreto “Rilancio” prima del 16 maggio, il ritardo della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale ha determinato un lasso di tre giorni nel corso dei quali l’originario termine era scaduto, senza essere stato ancora sostituito dal nuovo termine più lungo.

La circostanza, sicuramente non voluta, crea il problema della sorte dei licenziamenti che siano stati eventualmente comminati nei giorni 16, 17 e 18 maggio, che possono essere considerati tali solo se la comunicazione del licenziamento sia stata ricevuta dal lavoratore in quelle date. Il fatto che tanto i licenziamenti collettivi quanto quelli individuali cui si applica l’art. 18 della L. 300/70 siano soggetti ad una procedura, una sindacale e l’altra avanti all’Ispettorato territoriale del lavoro, restringe il campo dei possibili licenziamenti comminati in questi tre giorni ai soli licenziamenti nelle piccole imprese e dei lavoratori a tutele crescenti, per i quali invece il licenziamento si perfeziona con la sola comunicazione per iscritto. Se davvero, approfittando di questa circostanza, qualche datore di lavoro ha comunicato il licenziamento per motivi economici dal 16 al 18 maggio, si porrà il problema della sorte di tali provvedimenti, ora che il DL 34/2020 è entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione in Gazzetta, secondo quanto disposto dal suo ultimo articolo.

La questione potrebbe essere agevolmente risolta in sede di conversione, stabilendo l’efficacia retroattiva del nuovo termine previsto dall’art. 80 del DL 34/2020, così da coprire anche i tre giorni di cui si è detto, dal momento che il divieto di legge retroattiva è costituzionalmente prescritto soltanto per la legge penale, per cui il legislatore ordinario ben può emanare norme retroattive, purché adeguatamente giustificate sul piano della ragionevolezza, come più volte ricordato dalla Corte Costituzionale (cfr. ad esempio Corte Cost. n. 432/97). Se non provvederà il legislatore, sarà compito dei giudici stabilire se il succedersi delle due disposizioni abbia effettivamente creato un pur breve periodo nel quale è stato nuovamente possibile procedere con dei licenziamenti per motivi economici. Un’interpretazione di cui si potrebbe comunque dubitare, tenuto conto che la disposizione dell’art. 80 del DL 34/2020 non introduce un nuovo divieto, ma modifica il contenuto della disposizione di cui all’art. 46 del DL 18/2020, che prevede fin dall’origine la sospensione dei licenziamenti per motivi economici in questo periodo di emergenza.

Per quanto riguarda i contratti a termine, di cui si è voluta consentire fino al 30 agosto 2020 la proroga o il rinnovo senza necessità di causali, nella versione definitiva dell’art. 93 del DL 34/2020 all’ultimo momento è stato aggiunto un inciso in forza del quale tale possibilità è limitata ai contratti “in essere alla data del 23 febbraio 2020”, che finisce con il limitare ancora di più la portata della norma, già non particolarmente estesa visto il termine finale di poco più di tre mesi. Infatti, se è assai probabile che in caso di proroga si tratti di un contratto a termine già in essere al 23 febbraio 2020, per quanto riguarda il rinnovo, e cioè la stipula di un nuovo contratto con un soggetto che già in passato aveva lavorato a termine per lo stesso datore di lavoro, è altamente probabile che tale precedente rapporto non fosse in corso al 23 febbraio 2020, ma è davvero difficile comprendere la ragione per cui tale circostanza dovrebbe essere di ostacolo al rinnovo. È auspicabile che in sede di conversione, se davvero si vuole che la disposizione di cui all’art. 93 abbia una qualche utilità, tale inciso sia soppresso e che possibilmente anche il termine finale sia spostato in avanti, almeno fino al periodo di emergenza sanitaria.

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