Vincolo di subordinazione per il medico – Con riferimento a coloro che esercitano la professione medica in cliniche private, il rapporto di lavoro è subordinato ogniqualvolta si ravvisino gli indici rivelatori della etero-organizzazione (vale a dire l’assoggettamento al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro), quali l’inserimento in turni lavorativi predisposti dalla clinica e l’essere sottoposti a puntuali direttive circa lo svolgimento dell’attività.

La Cassazione ha espresso questo principio (analogamente a quanto affermato con la recente pronuncia n. 22634/2019 sull’attività intellettuale resa nell’ambito di uno studio legale) con la sentenza n. 23520, osservando che la sussistenza o meno della subordinazione deve essere verificata in concreto, in relazione all’intensità della etero-organizzazione della prestazione; solo in questo modo è possibile stabilire se l’organizzazione dell’attività resa dal medico nel contesto della struttura sia limitata al mero coordinamento con l’attività della clinica, rientrando così nell’area del lavoro autonomo, oppure ecceda le esigenze di coordinamento, rientrando in questo modo nell’alveo della subordinazione.

Per farlo, quando l’elemento dell’assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle mansioni, occorre rifarsi ai c.d. indici sussidiari, vale a dire quegli indici secondari rispetto a quello primario della etero-organizzazione che sono comunque rivelatori della subordinazione: si tratta, a titolo esemplificativo, della sistematicità e stabilità della collaborazione nell’organizzazione aziendale, del pagamento a cadenze periodiche della retribuzione, così come del coordinamento dell’attività con quella dell’impresa.
Tali criteri devono essere dal giudice valutati globalmente e desunti dal concreto svolgimento del rapporto.

Nel caso di specie, la dottoressa in questione era specializzata in medicina interna e aveva svolto la professione medico-ospedaliera presso un istituto privato in virtù di una serie di contratti di collaborazione autonoma.
Sia in primo che in secondo grado i giudici di merito avevano qualificato il rapporto intercorso tra la dottoressa e la clinica privata come subordinato in quanto la stessa, al pari degli altri medici strutturati inseriti all’interno dell’istituto con regolare contratto di lavoro subordinato, era inserita nei turni diurni e notturni organizzati dal primario, era comandata anche in reparti diversi da quello della propria specializzazione per sostituzioni improvvise e svolgeva le stesse prestazioni lavorative dei medici strutturati.

Tale statuizione è stata confermata dai giudici di legittimità con la sentenza che si commenta: sulla base dei predetti indici era infatti emerso che il datore di lavoro aveva esercitato il potere organizzativo, direttivo e disciplinare indistintamente nei confronti di tutti i medici inseriti nell’organizzazione della struttura, senza quindi fare differenze tra medici subordinati (strutturati) e medici inseriti con contratto libero-professionale (non strutturati), salvo che per alcuni aspetti meramente formali e amministrativi, come l’obbligo della reperibilità e il badge.

Sussistenza o meno della subordinazione da verificare in concreto

Tra la lavoratrice e gli altri medici assunti con contratto di lavoro subordinato non c’erano quindi state differenze di trattamento, né la natura dell’attività o le modalità di svolgimento della prestazione, interamente predeterminate, erano state diverse.
Da tale accertamento, conclude la Corte di Cassazione, è derivata “una figura professionale caratterizzata dall’esercizio di attività proprie della professione medica, ma giuridicamente articolata secondo la figura della subordinazione prevista dall’art. 2094 c.c.”, con conseguente rigetto del ricorso proposto dall’istituto e conferma della natura subordinata del rapporto.

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