Si ricorda come il datore di lavoro che licenzi un dipendente per sopravvenuta idoneità fisica debba dimostrare di aver assolto al c.d. obbligo di repechage, ossia provare l’impossibilità di reimpiegarlo in altre mansioni equivalenti – anche eventualmente inferiori (dato il prevalente interesse al mantenimento del posto di lavoro) – e compatibili con la sua ridotta capacità lavorativa.

Inoltre, per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015, il comma 7 dell’art. 18 della L. n. 300/1970 (così come modificato dalla legge Fornero) prevede l’applicazione della c.d. tutela reale attenuata di cui al precedente comma 4 – ossia reintegrazione nel posto di lavoro e indennizzo commisurato alla retribuzione con il limite di 12 mensilità – nell’ipotesi in cui il giudice accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore o in violazione dell’art. 2110 c.c.
Sempre ai sensi del comma 7 dell’art. 18, la tutela reale attenuata può trovare applicazione anche nell’ipotesi in cui il giudice accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Nel caso deciso dalla pronuncia in commento, un lavoratore aveva impugnato giudizialmente il licenziamento irrogatogli per sopravvenuta inidoneità fisica alle mansioni da ultimo assegnategli, lamentando la violazione da parte del datore di lavoro dell’obbligo di repechage.
Sia il giudice di prime cure sia la Corte di Appello, in sede di reclamo, avevano accertato l’illegittimità del licenziamento. In parziale riforma della pronuncia di primo grado – che aveva condannato la datrice di lavoro alla sanzione indennitaria di cui al comma 5 dell’art. 18 della L. n. 300/1970 – la Corte territoriale aveva riconosciuto la tutela reintegratoria attenuata, ritenendo che il difetto di giustificazione del licenziamento di cui al comma 7 dell’art. 18 della L. n. 300/1970 comprendesse anche l’ipotesi di violazione dell’obbligo di repechage.
Contro tale decisione, la parte datoriale proponeva ricorso per Cassazione sostenendo, in particolare, come la violazione dell’obbligo di repechage – quale obbligo accessorio – avrebbe dovuto comportare l’applicazione della sola tutela indennitaria.

La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha statuito, in linea con il proprio costante indirizzo (cfr. Cass. n. 26675/2018), che, in caso di illegittimità del licenziamento intimato per sopravvenuta inidoneità fisica o psichica del lavoratore dovuta a violazione dell’obbligo di adibire il lavoratore a mansioni compatibili con il suo stato di salute, deve trovare applicazione la tutela reintegratoria attenuata prevista dall’art. 18, comma 4, della L. n. 300/1970.
Per i giudici di legittimità, la tesi contraria affermata dalla società ricorrente risulterebbe in contrasto con la lettera della legge e la ratio della norma.

Per la Suprema Corte si incorrerebbe inoltre in una discriminazione se si ritenesse che la violazione dell’obbligo di repechage possa determinare una tutela reintegratoria nel caso di licenziamento per motivi economici e precludendo, invece, tale soluzione in presenza di un lavoratore affetto da inidoneità fisica o psichica.

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La Cassazione ha, quindi, rilevato come il comma 7 dell’art. 18 della L. n. 300/1970 preveda espressamente la reintegrazione per il caso in cui il giudice accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore senza attribuire al giudice stesso alcuna discrezionalità; discrezionalità che invece sussiste nella diversa ipotesi, sempre prevista nel medesimo comma 7, in cui il giudice accerti la violazione dell’obbligo di repechage nel caso di licenziamento determinato da ragioni economiche.

In tale ipotesi, infatti, il giudice, quando accerti il requisito della “manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento” di cui al comma 7 dell’art. 18 – concernente i presupposti di legittimità del recesso e, quindi, sia le ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore – può scegliere di applicare la tutela reintegratoria di cui al comma 4 del medesimo art. 18, salvo che, al momento di adozione del provvedimento giudiziale, tale regime sanzionatorio non risulti incompatibile con la struttura organizzativa dell’impresa e, dunque, eccessivamente oneroso per il datore di lavoro; in tal caso, nonostante l’accertata manifesta insussistenza di uno dei requisiti costitutivi del licenziamento, potrà optare per l’applicabilità della tutela indennitaria di cui al comma 5 (Cass. n. 10435/2018).

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