Nel 2019 è atteso, per gli appartenenti alle fasce più deboli, un doppio incremento della pensione: non solo, difatti, l’integrazione al trattamento minimo aumenterà grazie al meccanismo della perequazione, ma ci sarà un’ulteriore integrazione determinata dal reddito di cittadinanza.

In primo luogo, dunque, il trattamento minimo aumenterà grazie all’adeguamento periodico al costo della vita degli assegni corrisposti dall’INPS: in base a quanto ufficializzato recentemente dal Ministero dell’Economia e delle finanze, con il decreto del 16 novembre 2018, dal 2019 ci sarà una rivalutazione della generalità delle prestazioni di previdenza e assistenza, nella misura dell’1,1%.
Il trattamento minimo salirà pertanto dagli attuali 507,42 euro mensili a 513 euro mensili, e saliranno di conseguenza tutte le pensioni che beneficiano dell’integrazione. L’ammontare del trattamento minimo annuo varierà dagli attuali 6.596,46 euro ai 6.669 euro per il 2019 (ossia 513 euro moltiplicati per 13 mensilità).

Cambieranno anche le soglie di reddito per l’accesso all’integrazione al minimo.
Nello specifico, dal 2019, chi non è sposato, o risulta legalmente separato o divorziato, avrà diritto all’integrazione al minimo in misura piena, se possiede un reddito annuo non superiore a 6.669 euro, cioè al trattamento minimo annuo, e in misura parziale, se possiede un reddito annuo superiore a 6.669 euro, sino a 13.338 euro (cioè sino a due volte il trattamento minimo annuo).

Chi è sposato, invece, avrà diritto per il 2019 all’integrazione piena, in caso di reddito annuo complessivo proprio e del coniuge non superiore a 20.007 euro, se possiede un reddito annuo non superiore a 6.669 euro.
Con reddito annuo complessivo proprio e del coniuge superiore a 20.007 euro, ma non superiore ai 26.676 euro (cioè sino a quattro volte il trattamento minimo annuo), se possiede un reddito annuo non superiore a 13.338 euro, l’integrazione sarà invece parziale; in questi casi deve infatti essere applicato un doppio confronto, tra reddito personale e familiare (proprio e del coniuge): l’integrazione applicata sarà pari all’importo minore risultante dal doppio confronto.
Aumenteranno, in base alla rivalutazione dell’1,1%, anche l’integrazione al minimo delle pensioni d’invalidità, dell’assegno sociale e le ulteriori maggiorazioni soggette a perequazione.

La pensione di cittadinanza diminuirà in presenza di altri redditi

Dal 2019, poi, è prevista una nuova integrazione delle prestazioni previdenziali: si tratta della cosiddetta pensione di cittadinanza. Grazie al reddito di cittadinanza, difatti, le pensioni d’importo meno elevato aumenteranno sino ad arrivare a 780 euro mensili: questo valore fa riferimento a un nucleo familiare composto da una sola persona, mentre per le famiglie con più componenti il reddito dovrebbe essere maggiorato del 20% per ogni figlio e del 40% per il coniuge.
La pensione di cittadinanza, così come il reddito di cittadinanza, diminuirà però in presenza di altri redditi e per chi non paga l’affitto della prima casa: in quest’ipotesi si subirà una decurtazione del reddito mensile pari a circa 300 euro, corrispondente al cosiddetto affitto imputato.

Non sarà, inoltre, possibile possedere un patrimonio mobiliare (conti, carte prepagate, depositi, libretti, titoli, partecipazioni, ecc.) superiore a 10.000 euro in caso di famiglia con più figli. Per quanto riguarda il patrimonio immobiliare, oltre all’abitazione principale sarà possibile possedere un secondo immobile, del valore non superiore a 30.000 euro. Il reddito ISEE del nucleo familiare, per aver diritto al sussidio, non dovrà superare 9.360 euro.

In base a quanto esposto, dunque, non tutti coloro che percepiscono un assegno dall’INPS d’importo basso avranno diritto all’integrazione della pensione di cittadinanza, ma soltanto coloro che rispettano i requisiti reddituali e patrimoniali, riferiti anche ai familiari.
Potranno però essere integrate dalla pensione di cittadinanza anche le prestazioni INPS calcolate col sistema integralmente contributivo, che non sono integrabili al minimo.

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