Lavoro nero e pagamenti non tracciati le sanzioni si cumulano

Lavoro nero e pagamenti non tracciati le sanzioni si cumulano

Come noto, a far data dal 1° luglio 2018 – in ottemperanza dell’art. 1 comma 910 della Legge n. 205/2017 – è entrato in vigore il divieto per i datori di lavoro o committenti di corrispondere la retribuzione per mezzo di denaro contante direttamente al lavoratore, qualunque sia la tipologia di rapporto di lavoro instaurato.

La richiamata disposizione normativa, al successivo comma 913, prevede che laddove la retribuzione non venga corrisposta ai sensi del comma 910 verrà comminata una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da 1.000 a 5.000 euro.
A norma del comma 910, infatti, la retribuzione, nonché ogni anticipo di essa, può essere corrisposta esclusivamente attraverso una banca o un ufficio postale con uno dei seguenti mezzi:

  • bonifico sul conto identificato dal codice IBAN indicato dal lavoratore;
  • strumenti di pagamento elettronico;
  • pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento;
  • emissione di un assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato.

Ma cosa accade se la remunerazione della retribuzione, oltre ad essere effettuata tramite pagamento contante, venga eseguita nei confronti di un lavoratore in “nero”, vale a dire privo di regolare assunzione?

A dirimere la questione è intervenuto l’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la nota n. 9294 del 9.11.2018 il quale, nel dare risposta ad un quesito dell’ITL di Bergamo, ha ammesso la possibilità di cumulo della sanzione di cui all’articolo 1 comma 913 con la c.d. “maxi-sanzione per lavoro nero” -ex art. 3, comma 3, D.L. n. 12/2002 – nell’ipotesi di lavoratori “in nero” che siano remunerati utilizzando strumenti non tracciabili.
Si legge, a riguardo, nella nota: «la fattispecie oggetto del quesito riguarda l’ipotesi in cui gli organi ispettivi abbiano accertato l’impiego di lavoratori “in nero” e riscontrato altresì che la remunerazione dei medesimi lavoratori sia avvenuta in contanti e non mediante gli strumenti di pagamento prescritti dal citato comma 910. In tali casi, benché debba ritenersi piuttosto remota la possibilità che il lavoratore “in nero” venga remunerato utilizzando strumenti “tracciabili”, non può di per sé escludersi l’applicazione della sanzione prevista dal comma 913, che in ogni caso discende del comportamento antigiuridico adottato ed è posta a tutela di interessi non esattamente coincidenti con quelli presidiati dalla c.d. maxi sanzione per lavoro nero».

Secondo l’INL, dunque, essendo diversi gli interessi giuridici tutelati dalle rispettive disposizioni normative, risulta possibile una doppia richiesta sanzionatoria.

Del resto – si legge ancora nella nota – «laddove il Legislatore ha voluto escludere l’applicazione di ulteriori sanzioni in caso di contestazione della maxisanzione, lo ha fatto espressamente (articolo 3, comma 3-quinquies, D.L. 12/2002 come modificato dal D.Lgs. n. 151/2015 prevede espressamente l’inapplicabilità delle sanzioni di cui “all’articolo 19, commi 2 e 3, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, nonché le sanzioni di cui all’articolo 39, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133)».

Inoltre, con una precedente nota del 4 luglio 2018 (n. 5828), l’INL ha precisato che l’illecito si configura ogniqualvolta venga corrisposta la retribuzione in violazione del comma 910 dell’art. 1 L. n. 205/2017, secondo la periodicità di erogazione che, di norma, avviene mensilmente.
Se si considera che nelle ipotesi di lavoro “nero” la periodicità della erogazione della retribuzione può non seguire l’ordinaria corresponsione mensile, in ipotesi di accertata corresponsione giornaliera della retribuzione si potrebbero configurare tanti illeciti per quante giornate di lavoro in “nero” sono state effettuate.

Conclude la nota che, laddove il personale ispettivo accerti la corresponsione della retribuzione, ancorché in contanti, e la stessa risulti inferiore all’importo dovuto previsto dal CCNL applicato dal datore di lavoro, rimane applicabile l’istituto della diffida accertativa per crediti patrimoniali da lavoro dipendente.

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