La malattia non è considerata giusta causa di dimissioni in quanto il lavoratore ha diritto di recedere immediatamente dal rapporto, senza obbligo di dare il preavviso, solamente in presenza di un grave inadempimento del datore di lavoro, il quale deve essere tale da non permettere la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto (art. 2119 c.c.).

Sono considerate dimissioni per giusta causa, ad esempio, quelle rassegnate per mancato o ritardato pagamento della retribuzione (Cass. n. 5146/98), per mobbing o per comportamento ingiurioso del superiore gerarchico (Cass. n. 1542/2000). Il dipendente può inoltre dimettersi per giusta causa nel caso in cui il datore di lavoro pretenda delle prestazioni illecite oppure in presenza di molestie sessuali o di demansionamento.

Nelle ipotesi di dimissioni per giusta causa, il dipendente: beneficia comunque dell’indennità di disoccupazione; può richiedere il reddito di cittadinanza (artt. 1 e ss. del DL 4/2019); non deve fornire il preavviso al datore di lavoro; ha diritto di ricevere da quest’ultimo l’indennità sostitutiva del preavviso.

Se il lavoratore si dimette a causa delle proprie condizioni di salute, invece, non ha diritto a queste tutele: il lavoratore dimissionario per malattia non ha diritto all’indennità di disoccupazione, deve fornire al datore di lavoro il periodo di preavviso previsto dal contratto collettivo applicato e non può richiedere il reddito di cittadinanza per dodici mesi dalla data di cessazione del rapporto.

Il legislatore e la giurisprudenza non hanno esteso al recesso del dipendente per malattia la tutela accordata alla giusta causa di dimissioni in quanto allo stato di malattia, ossia allo stato di temporanea incapacità lavorativa, sono già collegate apposite tutele. Il lavoratore che non è in grado di svolgere la prestazione a causa della malattia, difatti, ha diritto a ricevere un’apposita indennità (art. 38 Cost.; art. 2110 c.c.) da parte dell’INPS e/o del datore di lavoro, sino a un periodo massimo, che per l’indennità a carico dell’INPS può arrivare fino a 180 giorni nell’anno solare.

Perdita di lavoro involontaria se si supera il periodo di comporto

Si ricorda che il diritto alla conservazione del posto di lavoro in caso di malattia è riconosciuto per un periodo di tempo che varia a seconda del contratto collettivo applicato e dell’inquadramento (c.d. periodo di comporto). Terminato il periodo di conservazione del posto, il datore di lavoro può licenziare il dipendente ancora assente per malattia: in questo caso al lavoratore sono riconosciute le tutele spettanti nell’ipotesi di dimissioni per giusta causa, in quanto la perdita dell’impiego si considera involontaria.

Se a causa della patologia al lavoratore è riconosciuta una riduzione della capacità lavorativa, ovvero una determinata percentuale d’invalidità, può avere diritto, in caso di permanenza in servizio, a delle agevolazioni, quali il riconoscimento di due mesi di contribuzione figurativa (art. 80 comma 3 della L. 388/2000) per invalidità superiore al 74%, o il congedo di 30 giorni all’anno per cure (art. 7 del DLgs. 119/2011) per invalidità superiore al 50%.

Congedo straordinario 104 e licenziamento

Se a causa della patologia il lavoratore è riconosciuto portatore di handicap in situazione di gravità ha diritto di fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa (art. 3 comma 3 della L. 104/92).
I contratti collettivi possono poi prevedere ulteriori tutele, come l’aspettativa non retribuita, che di fatto allunga il periodo di comporto.

Infine, giova ricordare che il lavoratore a cui sia stata riconosciuta un’inabilità totale e permanente a qualsiasi attività lavorativa ha diritto alla pensione d’inabilità al lavoro in presenza dei prescritti requisiti contributivi. Il lavoratore (non dipendente pubblico), in presenza di un’invalidità riconosciuta in misura superiore ai due terzi può richiedere, in presenza dei requisiti contributivi, l’assegno ordinario d’invalidità, calcolato nello stesso modo della pensione.

Il dipendente pubblico con inabilità riconosciuta alle mansioni o a proficuo lavoro può domandare il riconoscimento della pensione d’inabilità, se in possesso di specifici requisiti di contribuzione.

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Ferie non godute, dimissioni e indennità