Aperture domenicali degli esercizi commerciali

APERTURE DOMENICALI DEGLI ESERCIZI COMMERCIALI

FAVOREVOLI E CONTRARI

La proposta di legge formulata dalla Camera dei Deputati risale allo scorso 3 aprile, ma, dopo gli iniziali ed immediati commenti, è tornata alla ribalta nelle ultime settimane in vista della sua prossima discussione, secondo quelle che sembrerebbero essere le intenzioni del Governo.

Aperture domenicali degli esercizi commercialiSi tratta della proposta che vieterebbe agli esercizi commerciali l’apertura domenicale, cancellando così la piena liberalizzazione degli orari di apertura e di chiusura disposta durante il governo tecnico di Monti con il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (il c.d. decreto “Salva Italia”, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214) che aveva modificato l’articolo 3 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248), eliminando l’obbligo di chiusura domenicale e festiva.
Allora, la misura era stata introdotta per far fronte alla grave crisi dei consumi che in quel momento stava attraversando il Paese, e si basava sul principio che la scelta degli orari fosse attinente alla tutela ed alla promozione della concorrenza e spettasse perciò all’imprenditore di gestire al meglio la propria rete commerciale, nel rispetto delle leggi e dei contratti.

Ora il nuovo Governo ci ripensa, proponendo un disegno di legge che, con due soli articoli, abroga totalmente le precedenti previsioni.

La motivazione della scelta è espressa nella breve relazione introduttiva che accompagna la proposta: “La liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali mette a rischio la sopravvivenza di molti piccoli negozi al dettaglio, esponendoli a una dura concorrenza con la grande distribuzione. È infatti impensabile che un negozio, spesso gestito a livello familiare, possa competere con un grande esercente che, diversamente dal piccolo, può usufruire di maggiori risorse, soprattutto per quanto concerne il turn-over del personale. Procedendo su questa via si rischia dunque di perdere una parte importante della realtà di molti piccoli centri storici italiani, la quale verrebbe sacrificata alle logiche commerciali della grande distribuzione.” 

Il ripristino dell’obbligo di chiusura domenicale e festiva – sempre secondo la proposta – non riguarderebbe gli esercizi commerciali ubicati in località turistiche e di montagna e di quelli balneari, per i quali l’orario di apertura e chiusura non è soggetto ad alcun obbligo.
“Il vantaggio di tale revisione” – spiega ancora la relazione – “ricadrebbe anche sui consumatori che, pian piano, riscoprirebbero il piacere di riappropriarsi di alcuni valori all’interno del contesto sociale in cui vivono come, ad esempio, quello di trascorrere le festività in famiglia o di impiegare il proprio tempo libero passeggiando all’aria aperta o nei piccoli centri.”

La proposta risponderebbe, quindi, a due logiche: una di natura prettamente commerciale (che trova conferma nei dati della Confcommercio, secondo cui, tra il 2008 e il 2017, solo nel settore della distribuzione commerciale sono spariti circa 52.000 negozi), l’altra di natura più etica, tendente ad arginare la deriva delle domeniche e delle festività verso il consumismo e l’assalto ai centri commerciali (con le dovute eccezioni, come, ad esempio, nel mese di dicembre, prima di Natale!).

Le argomentazioni addotte a sostegno della proposta non hanno incontrato il favore delle associazioni delle imprese operanti nella grande distribuzione – in primis Federdistribuzione – che evidenzia come il decreto “Salva Italia” abbia consentito alla Distribuzione Moderna Organizzata (DMO) di erogare ogni anno oltre 400 milioni di maggiori stipendi, equivalenti a 16.000 posti di lavoro ed abbia permesso di sostenere i consumi (+2% per i beni non alimentari e al +1% per quelli alimentari), con 19,5 milioni di persone che fanno acquisti la domenica.

La domenica “è diventata per le imprese distributive il secondo giorno di fatturato nella settimana. Tornare indietro rispetto alla situazione attuale implicherebbe un forte disservizio per i consumatori, un indubbio vantaggio per l’e-commerce, un calo nei consumi e un inevitabile impatto sui livelli occupazionali”: è quanto si legge sul sito dell’associazione, che sostiene le proprie ragioni evidenziando altresì: che la liberalizzazione non è stata “selvaggia”, poiché la domenica e nei giorni festivi restano aperti solo i punti vendita per i quali l’imprenditore è convinto di fornire un servizio ai consumatori mantenendo un corretto equilibrio sul conto economico; non si è verificato un crollo degli esercizi commerciali, poiché, secondo l’Osservatorio del Commercio del MISE, tra il 2012 ed il 2017 il numero dei punti vendita, pur con la crisi, è sceso solo dell’1,4%; le aperture domenicali e festive appaiono coerenti con il mutare degli stili di vita e di acquisto delle famiglie, che chiedono più opportunità e alternative per impegnare il proprio tempo libero; la crescita dell’e-commerce ha ulteriormente introdotto complessità nelle attività del commercio fisico, godendo, tra l’altro, di un vantaggio “scorretto” in quanto non sottoposto ai vincoli commerciali (promozioni e sottocosto) che invece condizionano l’operatività dei negozi.

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Federdistribuzione rimarca, inoltre, che la reintroduzione dell’obbligo di chiusura domenicale e festivo comporterebbe il venire meno di circa 40mila posti di lavoro. Inoltre, favorirebbe ancor più la crescita del commercio online.

A tal ultimo proposito sembrerebbe, tuttavia, previsto un intervento apposito del disegno di legge, che intenderebbe estendere il divieto anche all’e-commerce, nel senso, tuttavia, non di impedire l’acquisto domenicale, ma il suo processamento: l’acquisto potrà, cioè, continuare ad essere fatto anche di domenica, ma la composizione dell’ordine, l’impacchettamento e la spedizione potrebbero avvenire solo a partire dal lunedì mattina.
Si obietta, però, che il divieto andrebbe eventualmente a colpire i colossi dell’e-commerce che hanno sede in Italia, rischiando al contrario di favorire quelli che hanno la possibilità di gestire le varie operazioni dall’estero.

Favorevole alla normativa proposta è invece la Chiesa, che in tal modo si era espressa già nei mesi scorsi. Come riporta Vatican News dello scorso giugno, l’Osservatorio Internazionale Van Thuan sulla Dottrina Sociale della Chiesa, attraverso la penna del presidente, mons. Giampaolo Crepaldi, vescovo di Trieste, ha manifestato la propensione a rivedere le norme sul lavoro domenicale previste dal decreto “Salva Italia”. “Il lavoro – ha ricordato il vescovo – è una dimensione molto importante per la vita dell’uomo, per la sua famiglia e per la società, ma deve essere collocato in una dimensione pienamente umana.” Il riposo “valorizza la dimensione delle relazioni familiari”, mentre il lavoro domenicale costringe le persone ai turni, “impedendo spesso alla famiglia di ritrovarsi insieme”.“L’apertura generalizzata dei negozi non dà la sensazione della pausa”, il che non significa “demonizzare né gli acquisti né la produzione con facili accuse”, ma “segnalare il bisogno di un momento di salutare discontinuità per godere di altri aspetti della vita”.

Per dare, infine, sull’argomento, uno sguardo al contesto comunitario, va rilevato che l’unico vincolo posto dall’UE – contenuto nella direttiva sull’orario di lavoro (2003/88/EC) – è quello di concedere al dipendente un giorno di riposo dopo sei di impiego, senza tuttavia l’obbligo che ricada in un festivo.

La situazione è, perciò, molto varia: su 28 Stati UE, 16 non prevedono limitazioni di orario o di aperture domenicali; Germania e Francia applicano divieti rigidi per quasi tutte le attività commerciali nei giorni festivi, concedendo solo alcune eccezioni e deroghe, che generalmente riguardano i negozi di alimentari, panetterie, grande distribuzione, giornalai, stazioni di servizio, stazioni dei treni, aeroporti e musei.

Chiusura domenicale prevista anche in Austria e Cipro, dove sono tuttavia consentite eccezioni per le aree turistiche. In Belgio e a Malta, la domenica i negozi devono restare chiusi a meno che il rivenditore non scelga un giorno di chiusura alternativo. Divieto di aperture festive anche nella Repubblica Ceca mentre nei Paesi Bassi le autorità locali possono autorizzare aperture domenicali, ed i negozi in stazioni di servizio, del treno, aeroporti ed ospedali hanno orari flessibili.

Bulgaria, Croazia, Estonia, Finlandia, Ungheria, Irlanda, Lettonia, Lituania, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Svezia e Italia – per il momento – prevedono una totale liberalizzazione degli orari, senza chiusure domenicali. In Danimarca, durante le maggiori festività i negozi devono chiudere entro le ore 15.00. Il Lussemburgo prevede aperture domenicali solo tra le 06.00 e le 13.00, con un orario prolungato (fino alle 18.00) per panetterie, macellerie, pasticcerie, chioschi e negozi di souvenir. In Spagna, ciascuna Comunità autonoma stabilisce il numero totale di domeniche di lavoro annuali autorizzate. Nel Regno Unito, si applicano alcune restrizioni di orario solamente per negozi di grandi dimensioni.

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