La sentenza n. 5384/2018 del Tribunale di Torino – già presa in esame per le precisazioni rese in tema di rimborsi spese degli amministratori si sofferma anche su ulteriori interessanti aspetti sempre attinenti ai compensi degli amministratori di società di capitali.

Si precisa, innanzitutto, come l’art. 2389 comma 1 c.c., sebbene dettato in tema di spa e non richiamato nella disciplina della srl, sia applicabile anche in queste ultime società. Non pare, infatti, sussistere ragione sufficiente per discostarsi da tale disciplina. Si afferma, quindi, come la citata disposizione debba applicarsi in via estensiva alla srl (cfr. App. Milano 1° aprile 2016 n. 1279, secondo la quale l’art. 2389 comma 1 c.c. è applicabile per analogia nelle srl, giacché gli amministratori hanno diritto di essere remunerati per l’attività svolta e per la “correlata assunzione di responsabilità”).

Si ricorda, inoltre, come la deliberazione assembleare che stabilisce il compenso dell’amministratore sia valida anche se approvata con il voto determinante dell’amministratore stesso, che sia anche socio. Può, invece, affermarsi che la delibera pregiudica l’interesse sociale, o che è diretta al soddisfacimento di interessi extra sociali in danno della società, se il compenso è fissato in misura irragionevole; irragionevolezza da valutare in base al fatturato e alla dimensione economico/finanziaria dell’impresa, e da rapportare all’impegno chiesto per la sua gestione.

Peraltro, ammesso che la delibera sia stata assunta in pregiudizio dell’interesse sociale e che tale pregiudizio si sostanzi nella fissazione di un compenso irragionevole, da ciò non deriva la nullità della delibera, ma, puramente e semplicemente, la sua annullabilità (cfr. Cass. n. 28748/2008).

La qualità di amministratore, poi, non è di per sé incompatibile con lo svolgimento, da parte dello stesso, di prestazioni professionali a favore della società che siano “estranee” all’amministrazione della società. In tal caso, l’amministratore ha diritto a ricevere un autonomo compenso per l’attività prestata, ulteriore rispetto a quello eventualmente previsto per la carica di gestione.

Problematica, tuttavia, risulta la fissazione di una linea di confine tra le attività inerenti all’amministrazione della società (incluse nel compenso eventualmente riconosciuto per la carica) e le prestazioni professionali estranee (legittimanti un’autonoma remunerazione).

A tal riguardo, il Tribunale di Torino dichiara di ritenere condivisibile la ricostruzione secondo la quale nella individuazione delle prestazioni professionali fatte nell’interesse della società, ma “estranee” all’amministrazione, rileva l’oggetto sociale.
Vale a dire che rientrano tra le prestazioni tipiche dell’amministratore tutte quelle che siano inerenti all’esercizio dell’impresa, senza che rilevi la distinzione tra atti di amministrazione ordinaria e straordinaria (cfr. Cass. n. 11023/2000, che ha respinto il ricorso di un commercialista, presidente di CdA, che pretendeva la liquidazione di un autonomo compenso per aver seguito la contabilità sociale e provveduto alla fatturazione e alla predisposizione delle dichiarazioni fiscali).

E allora, individuato nell’oggetto sociale l’elemento da considerare, e sancita la non rilevanza, in materia societaria, della distinzione – fissata in materia di persone incapaci – tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, devono dirsi “estranee” all’amministrazione soltanto le attività che abbiano carattere episodico e occasionale e, invece, “inerenti” all’amministrazione quelle che abbiano carattere regolare e continuativo rispetto al perseguimento dell’oggetto sociale.

Benché, poi, la Cassazione n. 11023/2000 abbia riconosciuto alla volontà assembleare la possibilità di prevedere che anche talune attività, che pure potrebbero rientrare tra quelle di gestione, configurino “particolari cariche”, come tali da retribuirsi autonomamente, si è altresì ribadito che tale potere di qualificazione appartiene esclusivamente all’assemblea, secondo la previsione imperativa dell’art. 2389 comma 1 c.c., e non all’organo amministrativo.

Di conseguenza, a fronte di una società, come quella del caso di specie, avente ad oggetto sociale “lavori e costruzioni in genere di edilizia civile e industriale”, la auto-attribuzione, da parte dell’amministratore unico, di un generico incarico di consulenza presso “cantieri vari” è ritenuto privo di uno specifico contenuto e indistinguibile dall’ordinaria amministrazione, che consiste nel fare quanto sia giorno per giorno necessario per il buon andamento dell’impresa: esso, pertanto, non può ricevere un’autonoma remunerazione.

Un simile contratto di consulenza, inoltre, è nullo per difetto di causa; la causa del contratto in oggetto, infatti, è costituita, in concreto, proprio dallo scambio di quell’attività consulenziale che è già “simmetricamente e specularmene svolta in adempimento dei propri doveri di amministratore” (cfr. Cass. n. 10490/2006).

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